Le perdite virtuali

Da traderpedia.
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"Non permettete che vi sfugga nemmeno il problema più piccolo.
Ricordate: i ruscelletti crescono fino a diventare fiumi con una portata enorme."

(Katsuyoshi Ishihara)


Il concetto più lontano dalla logica operativa del trader, ma che i teorici sono riusciti a far attecchire tra gli investitori, è il concetto delle cosiddette “perdite virtuali”.

Radiocor - Milano, 21 settembre 1998 - Il presidente dell’Aiaf, Luciano Pichler, ha detto: «Da tempo avevo messo in guardia che la grande euforia non poteva durare. La borsa non è il gioco della roulette. Chi aveva investito in modo “sano” non ha puntato il 100% sulla borsa e non ha quindi bisogno di liquidare tutto e subito. Occorre poi sempre ricordare che le perdite in borsa non sono reali finché non si realizzano “di fatto”. Questo vale per i risparmiatori. La situazione è diversa per le imprese che devono compilare i bilanci…».

Il termine virtuale è sinonimo di potenziale, possibile, eventuale o teorico, ma quando va associato al concetto di perdita sul capitale di presunto resta assai poco, dato che chiudendo le posizioni il virtuale si scopre reale.

Il concetto di perdita virtuale è di un’ambiguità pericolosa e porta a pensare: «tutto sommato finché non vendo non perdo». Ma le cose stanno proprio così? Immaginiamo di comperare 100 azioni a 110 euro spendendo 11.000 euro reali. Se dopo un paio di mesi la quotazione scende a 50 euro ci si ritrova improvvisamente con una perdita virtuale di 6.000, che diventa reale nel momento in cui chiudiamo la posizione.

Un altro esempio rende meglio il concetto, anche se non attinente al campo borsistico: se facciamo un incidente con l’automobile e ci troviamo un danno di 3.000 euro, possiamo considerare il danno virtuale se non ripariamo l’auto, ma se la portiamo dal carrozziere la perdita diventa reale. Il carrozziere per la riparazione vuole, infatti, 3.000 euro reali e non virtuali. Certamente, potremmo decidere di tenerci l’auto danneggiata e allora la perdita resterebbe solo virtuale.

Si comprende che tutte le perdite chiamate virtuali per esistere pongono le radici e succhiano la linfa al denaro reale. Solo se esistessero titoli virtuali, ossia privi di valore economico, si potrebbero generare perdite virtuali. Ma questi, ovviamente, non esistono e, in ogni caso, il loro interesse potrebbe riguardare solo la metafisica. Pertanto è bene ricordare che in borsa circolano sempre e solo soldi reali, equivocare sul termine virtuale può essere davvero ingannevole e dannoso per i nostri investimenti.

Un altro ambiguo malinteso riguarda i milioni di euro che ci sono segnalati dagli esperti di settore come “bruciati dai ribassi di borsa”. Quando il ribasso supera il 5% non si aspetta altro che gli esperti di settore proferiscano la frase: «Sono stati bruciati 30 miliardi di euro in un solo giorno». Ed è a questo punto che entra in gioco l’ambiguità: l’investitore, guidato dalla sapiente regia dei mass media, non si lamenta delle perdite e si sente solidale con chi è stato toccato dalla stessa sorte, consolandosi con la proverbiale frase “mal comune mezzo gaudio” e convincendosi che dopotutto si tratta di perdite virtuali. Che prima o poi saranno recuperate, poiché fino a quando non si vende non si perde. Il concetto di perdita virtuale impedisce di prendere coscienza che in borsa reale e virtuale devono essere considerati come termini equivalenti.

Probabilmente, passerà ancora molto tempo prima che gli investitori si rendano conto che la soluzione ai condizionamenti del sistema virtuale è lontana. La maggior parte delle perdite derivanti dal rischio sono difficili da controllare proprio perché siamo indotti a considerarle entità potenziali o virtuali, ossia non ancora monetizzate, ma, se vogliamo controllare le perdite, il termine “virtuale” deve coincidere con “reale”. Le cosiddette perdite virtuali devono essere considerate come una qualsiasi riduzione di capitale, sia che interessino i titoli che abbiamo in portafoglio, sia che riguardino i guadagni conseguiti. Le perdite virtuali potrebbero essere considerate come i pagamenti che facciamo con la carta di credito, che fa spesso perdere il collegamento affettivo con il denaro reale, ma ciò non ci salva dal prelievo che la banca farà sul nostro conto corrente. Si tratta di una forma di pagamento spostata nel tempo, proprio come per le perdite virtuali.

Qualche tempo fa, nel corso di una cena, venni a sapere di un investitore che aveva comperato 15.000 titoli a 16 euro. Dopo poche settimane, le sue azioni vennero scambiate a 12 euro. Vista la perdita ingente, l’investitore decise, pur se in ritardo, di seguire la tendenza e operare al ribasso. La cosa curiosa fu che l’investitore non chiuse la posizione accettando la perdita ma la ritenne ancora virtuale. Aprì un nuovo conto di trading e vendette allo scoperto altre azioni dello stesso titolo per “congelare” il trade. L’investitore avrebbe dovuto accettare la perdita e chiudere la posizione procedendo in seguito con la vendita allo scoperto del titolo che era in tendenza ribassista.

Non ho mai saputo come andò a finire questo investimento, certo appare da subito chiaro che il comportamento dell’investitore è sbagliato, oltre ad essere contraddittorio, poiché da un lato conserva i titoli che sono in perdita, sperando in un aumento delle quotazioni nel lungo periodo e dall’altro opera al ribasso sugli stessi titoli, contando sulla caduta del prezzo nel breve periodo. Da un lato, vorrebbe vedere il titolo salire e dall’altro agisce in modo da contribuire direttamente al suo ribasso. Non è possibile sostenere, sullo stesso argomento, un ragionamento o un comportamento contraddittorio, senza metterne in crisi la sua stessa validità sul piano logico e razionale. L’investitore ha fatto le sue scelte guidato prevalentemente da fattori emotivi o affettivi, incapace di accettare la perdita e trascurando le regole fondamentali del trading e quelle del buon senso.

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